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Azioni a voto plurimo, azioni a voto maggiorato: autonomia statutaria e declinazioni concrete della disciplina
Marzo 2015
Il Decreto Competitività (decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con
modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116) ha, in particolare e tra l’altro:
per le società “chiuse”, abrogato il divieto di emissione di azioni a voto plurimo,
che viene ora consentito fino ad un massimo di tre voti per ciascuna azione (art.
2351, commi 3 e 4, c.c.); per le società quotate, introdotto la possibilità di
attribuire un diritto di voto maggiorato, fino a un massimo di due voti, alle azioni
appartenute a uno stesso azionista per un periodo continuativo di almeno
ventiquattro mesi (art. 127-quinquies t.u.i.f.).
Tali innovazioni apportate, sulla scia dell’esperienza di altri ordinamenti, portano
(ulteriormente) a superare il principio “un’azione, un voto”, così “allentando”, o
secondo certa dottrina “dissolvendo”, la correlazione tra “rischio” e “potere
deliberativo” del socio nelle società per azioni e (almeno potenzialmente)
incidendo sugli assetti del relativo controllo.
Gli istituti predetti – che, quale tratto comune, consentono il potenziamento del
diritto di voto – sono ontologicamente differenti e rispondono a ben distinte
finalità: in particolare e in sintesi, quanto alle azioni a voto plurimo, l’obiettivo
perseguito dal legislatore è quello di incentivare gli investimenti azionari nelle
società chiuse, così ampliando gli strumenti per la raccolta di nuove risorse; il
voto maggiorato vuole, invece, avere una funzione incentivante per gli investitori
con prospettive di stabilità.
Entrambi gli istituti, a fronte dell’ampia autonomia statutaria riconosciuta,
possono assumere, sul piano concreto, diverse declinazioni, anche in relazione
alle caratteristiche delle singole società e, in particolare, dei relativi assetti
proprietari.
Donde l’esigenza di ben valutare l’effettivo contesto di riferimento, nell’obiettivo
di adeguatamente “graduare” la disciplina statutaria – sulla base dei citati rilevanti
margini di autonomia che la normativa prevede, ad esempio, tra gli altri, quelli per
l’individuazione del perimetro delle materie per le quali trova applicazione il
“voto potenziato” – nell’obiettivo di addivenire ad un equilibrato assetto dei
complessivi interessi correlati all’impresa, a tal fine rilevando anche quelli di soci
diversi da quelli di controllo.