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Segnalazioni

Segnalazioni inerenti a materiali, tematiche e questioni, recenti e di particolare rilevanza, trattate dallo Studio e di specifico interesse per gli operatori.

La trasformazione in s.p.a. delle “grandi” banche popolari: ragioni e problemi*

MARIO CERA

1.
Una riflessione sul significato e sui concreti effetti derivanti dalle novità contenute nel d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, come convertito dalla l. 24 marzo 2015, n. 33, non può che muovere da una premessa “giuspolitica”. L’abbandono del sistema cooperativistico e l’adozione di quello capitalistico sono stati imposti solo alle banche popolari di maggiori dimensioni, per le quali è ben noto il risalente dibattito circa l’effettiva correlazione con lo scopo mutualistico e, quindi, la configurabilità di una “vera” cooperativa. Ma, nel caso di, sempre maggiore, ricorso al mercato del capitale di rischio tramite la quotazione, la anomala peculiarità delle banche popolari è stata l’assenza di contendibilità e la conseguente esclusione dal “mercato del controllo societario”, principi che ispirano la disciplina del t.u.i.f. In quest’ulteriore prospettiva, appariva ineludibile la trasformazione in s.p.a., che quindi, al di là di ogni altra considerazione “sistemica”, risulta nell’interesse degli investitori e coerente alla disciplina sulle società emittenti titoli diffusi.

2.
Vanno, altresì, formulate, sempre preliminarmente, alcune annotazioni di “tecnica” legislativa, sul presupposto, evidente ancorchè implicito, che qui si tratta di sostanziale trasformazione ex lege. Ci si deve infatti chiedere: era proprio necessaria la previsione di una delibera dell’assemblea in merito alla trasformazione? E perché lasciare una formale ma rischiosa autonomia deliberativa all’ente se ci si trova in un caso “di necessità e d’urgenza”? Invero, non sono molte le disomogeneità normative fra uno statuto di s.p.a. e uno di società cooperativa per azioni quotata, donde la possibilità, ora mancata, di pervenire allo stesso risultato con alcuni correttivi “mirati” alla disciplina delle cooperative (i.e. il voto capitario) senza necessità di una “generale” trasformazione.

* Intervento al Seminario “in memoriam Carlo d’Urso” – d’Urso Gatti e Bianchi Studio Legale Associato – Milano, 27 maggio 2015.

3.
Passando, a questo punto, ai contenuti del d.l. n. 3/2015, va evidenziato, circa i quorum previsti all’art. 31 t.u.b. per le operazioni di trasformazione e fusione, che si tratta di soglie solo fino a un certo punto “agevolate”, in quanto riferite ai 2/3 dei voti espressi in assemblea con il metodo capitario. Vi è da chiedersi, perciò, come fare fronte a eventuali situazioni di stallo in ragione di condotte di filibustering irresponsabile da parte di gruppi particolarmente numerosi di soci, non risultando previste sanzioni od effetti direttamente per questi. Il tema si complica qualora si vada a valutare l’oggetto o, se si preferisce, il contenuto della delibera e, quindi, della modifica dello statuto. L’art. 29, comma 2-ter, t.u.b. si limita a stabilire, alquanto genericamente, l’obbligo dell’organo di amministrazione di convocare l’assemblea “per le determinazioni del caso”. Ad evitare questioni (ed interventi giudiziari sempre possibili), occorrerà limitarsi alle modifiche strettamente correlate all’operazione di trasformazione. E’ evidente, però, che non sarà certo agevole operare distinzioni in proposito, con l’inevitabile rischio di valutazioni differenti nell’ambito degli organi della società.

4.
Alcune notazioni generali sul “governo” o meglio sull’assetto societario risultante dall’adozione del “tipo” s.p.a.: viene meno, in particolare, l’autoreferenzialità del “comando” in capo all’organo gestorio. In una s.p.a. il confronto con gli azionisti di riferimento avviene non ogni tre anni, al momento della scadenza e del rinnovo dell’organo amministrativo, bensì continuativamente, “nel durante” della gestione. Sarà difficile ipotizzare, infatti, banche derivanti dalla trasformazione senza nuclei stabili o noccioli di soci di riferimento.

5.
I patti parasociali, a questo proposito, sono certamente possibili e legittimi, anzi, una tantum, perfino opportuni nell’interesse sociale, purché non si estendano alla gestione, che non significa, però, all’assetto gestorio. Sarà comunque importante la trasparenza degli accordi e la nitidezza dei contenuti, senza formule opportunistiche, stravaganti, quando non “stregonesche”. Meglio comunque, almeno nella fattispecie e per ora, la presenza di patti parasociali chiari, piuttosto che limiti o meccanismi protettivi nello statuto. Tuttavia, il voto maggiorato potrebbe essere una opportunità, ma, forse, non è possibile la sua adozione già da parte dell’assemblea chiamata a deliberare sulle modifiche relative alla trasformazione in s.p.a. Il significato della stabilità di assetto, rectius continuità per un buon governo della banca (a proposito di piani di successione e altro), è assai evidente per investitori ed Autorità e dunque ben vengano soluzioni che assicurino una prudente transizione dalla incontendibilità alla piena contendibilità, dalla non correlazione potere-rischio alla rivalutazione del significato dell’investimento.

6.
Effetto giuridico dell’adozione del “tipo” s.p.a. è l’immediata applicazione della relativa disciplina e, specialmente, del principio capitalistico, con i relativi diritti sociali riconosciuti dalla legge. Sarà possibile, quindi, procedere, in base alla nuova normativa, ad ulteriori, e anche rapidi, interventi sullo statuto, che non fossero consentiti in sede di trasformazione. Una volta s.p.a., anche all’indomani, diritti e poteri sono quelli ben noti e tutto, s’intende nell’ambito del lecito, è possibile.

7.
Punto delicato è se gli organi sociali cessino a seguito dell’adozione del modello capitalistico ovvero se gli stessi restino in carica fino alla loro scadenza naturale. Tale ultima questione è di non piana soluzione. Donde, l’opportunità dell’inserimento nello statuto di adeguate norme transitorie, fatta salva, in ogni caso, la potestà dei soci di chiedere la revoca degli organi in carica, che qui sarebbe certamente per giusta causa, e il loro rinnovo. Ulteriori interrogativi riguardano le modalità dell’eventuale rinnovo nel momento del passaggio da cooperativa a s.p.a., e in particolare: i) l’individuazione dei soggetti legittimati a formare e presentare liste di candidati; ii) se l’organo di supervisione uscente possa presentare una propria lista e le ragioni per le quali non possa, nel caso, farlo. Vi sono vantaggi e svantaggi della presentazione di liste “integrali” di candidati, tenuto conto dei rischi correlati a liste incomplete ai fini della formazione dell’organo in un azionariato frammentato e non ancora stabile, come quello, presumibilmente, post trasformazione.

8.
Elemento caratterizzante, forse esclusivo, le banche popolari quotate era e resta, di fatto, il voto capitario e, dunque, il recesso è conseguente, sostanzialmente, alla sua eliminazione. Il recesso è profilo davvero critico quanto alla legittimità o meno di un rinvio o della limitazione del rimborso ai soci.
Molteplici sono i possibili problemi, soprattutto nelle banche non quotate. La situazione appare molto scivolosa, perché i soci hanno il diritto al rimborso “per legge” e non è per nulla scontato stabilire cosa accada ai soci receduti e non rimborsati. Tante sono le ipotesi pratiche, anche con riguardo alla responsabilità degli amministratori, e non pare che il Documento di Banca d’Italia offra soluzioni, anzi… Una ipotesi coerente con lo “spirito delle leggi”, varie che vengono in giuoco nella circostanza, sarebbe di graduare e, quindi, limitare il rimborso in correlazione al possesso azionario. Ad esempio: fino a 500 azioni, rimborso immediato; fino a 5.000, entro un certo termine; oltre, secondo ratios prestabiliti. Il valore delle azioni, comunque, dovrebbe essere determinato all’atto dell’operazione societaria che comporta la trasformazione in s.p.a. Il “piccolo” cooperatore dovrebbe essere così tutelato; l’investitore “significativo” privato dovrebbe poter godere della certezza del rimborso, ferma la sua facoltà a rinunciarvi entro il termine; gli investitori istituzionali non dovrebbero ricevere alcun pregiudizio dalla trasformazione. In questo modo, si realizzerebbe un opportuno bilanciamento fra i vari interessi.

9.
E’ necessario, altresì, interrogarsi sulle implicazioni della mancata trasformazione in s.p.a. Davvero è possibile che si arrivi alle misure drastiche previste all’art. 29, comma 3-ter, t.u.b., ora introdotto, che vanno dal divieto di intraprendere nuove operazioni sino alla revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e alla l.c.a.? Va ribadito che il legislatore ha voluto la trasformazione in s.p.a., ma, al contempo, ha ritenuto che fossero i soci a deliberarla… La conseguenza è che non possono escludersi, come già rilevato, situazioni di impasse, che, nel caso, sarebbero davvero ingarbugliate. Al di là di qualche altro, sempre possibile, “decreto legge”, l’unica soluzione sarebbe di trovare una via d’uscita per via regolamentare con una norma immediatamente applicabile a fini di stabilità, che preveda, ad esempio, la sospensione dei diritti di voto ovvero, altrimenti, il ricorso all’art. 2365, comma 2, c.c. In ogni caso, lo scenario sarebbe nebuloso, se non tempestoso, anche per il rischio di derive giudiziarie dagli esiti imprevedibili. L’auspicio è che le banche popolari colgano l’occasione per soluzioni intelligenti ed equilibrate che aprano una nuova stagione di sviluppo, come è accaduto agli inizi degli anni ’90 con la trasformazione delle banche pubbliche in s.p.a. e la nascita delle fondazioni bancarie, le più virtuose delle quali hanno contribuito efficacemente al consolidamento e alla competitività del nostro sistema bancario.

10.
Un’ultima notazione in merito alle peculiarità delle banche popolari non quotate, ma con azioni diffuse ed illiquide, e delle residue popolari escluse dalla riforma. Per le prime, la situazione è sempre più insostenibile e si dovrebbe comunque prevedere, a determinate condizioni, la quotazione in un mercato entro un termine preciso, costi quel che costi, cioè col rischio di forti deprezzamenti sui corsi, ora fittizi ed apparenti. Non v’è più, come un tempo, la quotazione d’ufficio da parte della Consob, ma a qualcosa del genere si potrebbe in qualche modo anche pervenire. Per le altre popolari, invece, non dovrebbero esserci ripercussioni sostanziali né effetti giuridici particolarmente significativi. Tuttavia, s’impone una riflessione, oggi, sulla relazione tra la peculiarità dell’attività bancaria “ordinaria” e lo scopo mutualistico: ha ancora senso tale rapporto?

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