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La cooptazione di amministratori di s.p.a. tra obblighi di legge e di statuto e apprezzamento discrezionale del Consiglio di Amministrazione

Aprile 2018

È frequente, nella prassi, il fenomeno per cui, a seguito delle dimissioni di un amministratore nel corso della carica, il Consiglio di amministrazione di una s.p.a. si trovi a doverlo sostituire, in attesa della successiva assemblea dei soci, organo come noto sovrano in materia.
Tuttavia, la legge, ed in particolare l’art. 2386 c.c., non fornisce espresse indicazioni circa l’obbligatorietà della cooptazione da parte dei componenti dell’organo amministrativo rimasti nella carica e, altresì, circa i tempi della decisione.
Secondo l’interpretazione dottrinale di gran lunga maggioritaria, anzi pressoché totalitaria ed univoca, dal momento delle dimissioni dell’amministratore sorgerebbe in capo ai membri del Consiglio rimanenti un vero e proprio obbligo di cooptazione, finalizzato a ripristinare l’organo nella sua interezza e garantirne, quindi, il corretto funzionamento. Il Consiglio di amministrazione potrebbe anche decidere di rimettere la decisione, immediatamente, all’assemblea.
La legge, inoltre, nulla dispone quanto ad eventuali termini entro i quali il Consiglio di amministrazione dovrebbe procedere alla cooptazione; l’unica indicazione temporale è data dal riferimento alla “prossima assemblea” per la nomina del nuovo amministratore (anche confermando se ritenuto quello cooptato).
Vero che si può ipotizzare, con parte della dottrina, una certa urgenza di sostituire il membro cessato, per le finalità di corretto funzionamento dell’organo; non può, però, non rilevarsi che la scelta circa il soggetto da nominare può rivelarsi di non semplice ed immediata attuazione.
In particolare per le società bancarie è richiesta una rafforzata ponderazione rispetto a una società di diritto comune, tenuto conto degli interessi pubblicistici coinvolti nelle attività esercitate; ne discende una disciplina stringente anche in tema di requisiti degli esponenti aziendali, quale delineata dall’art. 26 t.u.b. e, soprattutto, dalle disposizioni attuative di emanazione ministeriale, con i conseguenti poteri di verifica (c.d. “fit and proper”) in capo all’Autorità di Vigilanza.
L’attuale disciplina di cui al d.m. n. 161 del 1998, come ben noto, è in corso di rielaborazione e aggiornamento da parte del MEF, anche per tener conto del nuovo contesto della Vigilanza europea. Dallo schema di decreto posto in pubblica consultazione si evince, in particolare, un accresciuto rigore nella definizione degli stessi requisiti non solo quanto a onorabilità e professionalità, ma anche in termini di disponibilità di tempo, cumulo di incarichi e altresì effettiva indipendenza. La individuazione di un esponente bancario, in base alla citata normativa speciale, non può dunque che essere rigorosa, non soltanto nella scelta dei candidati da parte dei soci al momento della nomina dell’organo amministrativo, ma anche, anzi di più, dei sostituti da parte degli amministratori in sede di cooptazione, visto anche il successivo vaglio di Vigilanza.
Gli amministratori, allora, pur nell’ambito degli obblighi imposti dalla legge, dovranno, e potranno, ponderare le proprie decisioni, tenendo conto da un lato delle indicazioni normative (e di statuto ove presenti), ma anche delle circostanze contingenti nelle quali la singola società dovesse trovarsi in quel momento, e dei particolari approfondimenti che dovessero risultare necessari (si pensi, ad esempio, alla sostituzione di un amministratore indipendente).

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